Catechesi in pillole – Terza puntata del 2/2/2025
“SECONDO LA TUA MISERICORDIA”
Terza puntata: sacramento della penitenza – perché confessarmi se tanto ricado sempre negli stessi peccati?
In questa terza puntata sul sacramento del perdono indaghiamo l’aspetto della penitenza, che potremmo anche tradurre nella domanda – più che legittima – “perché devo continuare a confessarmi se faccio comunque sempre gli stessi peccati?”.
Parto da due frasi, due citazioni.
La prima è di un mio amico prete che una volta ha detto: “Siccome facciamo sempre gli stessi peccati, rischiamo di convincerci che il male sia inesorabile. No, dovremmo piuttosto convincerci che il male è noioso e ripetitivo”. Una prospettiva decisamente simpatica. E anche molto vera: in genere c’è molta più creatività nel bene che nel male. La seconda citazione la prendo da Renè Voilleaume, fondatore dei “piccoli fratelli di Gesù”, ispirati al carisma di Charles De Foucauld. Nel suo testo-guida per le comunità religiose dice “Vi troverete a combattere sempre contro gli stessi vizi per tutta la vita: non sorprendetevi di questo”. La logica della confessione e dell’aspetto della penitenza non è quindi quella del miglioramento, ma della conversione. Non a caso la categoria biblica della riconciliazione e della penitenza è il ritorno. Paradossalmente potremmo dire che non si tratta di andare avanti ma di ritornare. Uno dei brani più belli lo troviamo nel libro del profeta Gioele (2,12): “Or dunque – oracolo del Signore -, ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”.
La penitenza, frutto del colloquio sacramentale, non va dunque mai intesa nella logica della soddisfazione, cioè del rimedio o addirittura della punizione o castigo per gli errori fatti. E certamente non va, almeno anzitutto, nella linea del sacrificio o della rinuncia (anche se, vedremo, sacrifici e rinunce possono e devono far parte del cammino). Certo, è mio dovere sanare, per quanto possibile, quello che il mio peccato ha ferito: se ho offeso una persona e ne sono consapevole e di questo peccato mi sono accusato, è mio preciso dovere chiederle scusa. Ma il cammino penitenziale che sono chiamato a compiere è molto più ampio. Detto in modo un po’ brusco, la penitenza non la liquido con tre Ave Maria. Perché la penitenza non è un singolo atto, ma una attitudine: è un esercizio spirituale, è un percorso nel quale sono chiamato a prendere sempre più sul serio il Signore Dio, la sua parola, la mia fede, la mia vita, la vita dell’altro È un cammino nel quale vengo chiamato a crescere (non a migliorare) nella finezza, nel gusto per la vita cristiana (la pagina del profeta Malachia è interessantissima in questa prospettiva: “Egli è come il fuoco del fonditore. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento” – Ml. 3,3). La penitenza mi ricorda che la vita cristiana è fatta di scelte concrete e non di spontaneismo o di sensazionalismo: non regge una vita cristiana se prego quando mi va, se faccio la carità quando me la sento. Dalla confessione deve sgorgare non tanto una vita che ambisce alla perfezione, ma un orientamento che rinnova il discepolato nella logica dell’attrazione. Il mio impegno a una vita più santa non è l’ambizione orgogliosa della mia volontà, ma un desiderio reale di accondiscendenza alla promettente chiamata del Signore Gesù. Quindi? I sacrifici non hanno più valore? Certo che ne hanno, ma solo se mi rendono più docile, più amabile, più umile, più permeabile alla parola del Signore. La conversione non necessariamente diminuirà i miei peccati, ma necessariamente aumenterà la mia dedizione, la mia disponibilità, la mia pazienza, la mia bontà. Altrimenti dovrò onestamente riconoscere che qualcosa non ha funzionato. D’altra parte è rigoroso il detto di Gesù nel discorso della montagna: “quando digiuni, profumati il capo” (Mt. 6,17). Se la penitenza non serve a farti più bello e più felice, prova a chiederti perché la stai facendo.